Come scrivere un dialogo

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Il Reichstag era in fiamme. Luci gialle e rosse danzavano dietro le file di finestre in stile classico. Lingue di fumo e fuoco uscivano dalla cupola centrale.
«Oh, no!» esclamò Walter in un tono che a Lloyd parve affranto. «Oh, Dio del cielo, no!»
Fermò la macchina e tutti scesero.
«È una catastrofe» disse Walter.
«Un così bel palazzo antico» commentò Ethel.
«Non è del palazzo che mi importa» ribatté Walter, cogliendo tutti di sorpresa. «È la nostra democrazia che finisce in cenere.»

(Ken Follett, “L’inverno del Mondo”, Mondadori 2012)

 

«Senti, a proposito di sabato, pensavo di andare in un posto molto carino a via Po.»
«Che genere di posto?» mi risponde mentre sparisce per ritornare dopo un minuto.
«Ecco, è una specie di discoteca,» dico; lei si gira e mi guarda perplessa «dove vanno tutti i miei compagni di scuola» aggiungo come se questo potesse tranquillizzarla.
«Non mi sembra il caso» risponde mio padre entrando in quel momento.
«Ma è un posto tranquillo, ci andremo il pomeriggio.»
«E che c’entra, come se le cose possono succedere solo la sera. Non se ne parla, trova un’altra cosa, tipo un cinema o la pizza»
«Uffa, ma sono due anni che festeggio in questo modo, ormai ho quattordici anni!» dico sentendomi già salire le lacrime. Aveva ragione Sara, non dovevo dirglielo, penso disperata. «Non vi fidate di me, pensate ancora che abbia cinque anni, ma insomma, guardatemi!» Urlo con aria drammatica mentre esco dalla cucina e mi rifugio in camera mia. Niente, oggi non è la mia giornata.

(Valentina F., “TVUKDB”, Fanucci Editore, 2007)

Spesso il male di scrivere ho incontrato. Erano i dialoghi scritti alla cazzo, erano le espressioni artificiose e surreali che manco Centovetrine
È più o meno dal Paleolitico che l’essere umano abusa del proprio diritto di parola. Per questo motivo, non è affatto improbabile che, in un’imprecisata pagina del vostro mediocre racconto, uno (se schizofrenico) o più dei vostri personaggi si ritrovino a chiacchierare.

Il dialogo è una parte fondamentale della narrazione: serve a umiliare i protagonisti di una storia rimpinzandogli la bocca di espressioni che li faranno sembrare degli idioti.
Data la nostra volontà di realizzare un best seller, il nostro dovere è quello di scrivere un dialogo di merda. Partiremo con un brano tratto da Delitto e castigo, un romanzo che oggi non verrebbe mai pubblicato in quanto alieno alle regole della scrittura creativa moderna, a differenza dell’ultimo libro di Fabio Volo:

«Praskov’ja Pàvlovna vuole andare alla polizia, a lagnarsi di te» gli disse.
Lui storse la faccia in una smorfia.
«Alla polizia? E che le serve?»
«Soldi non ne paghi, e la stanzetta non la sgombri. Si sa bene cos’è che le serve.»
«Eh, ci mancava solo questo» borbottò lui, digrignando i denti «no, questo, a me, adesso…è fuori luogo…E’ una scema» soggiunse a voce alta. «Oggi andrò a trovarla, le parlerò.»
«Per essere scema, è scema, proprio come me; mentre tu, invece, che saresti un intelligentone, perché te ne stai steso come un sacco vuoto, e non combini niente? Prima, dicevi che andavi a dar lezioni ai bambini, mentre adesso non fai quasi niente.»
«Io faccio…» disse Raskòl’nikov a denti stretti e bruscamente.
«Cos’è che fai?»
«Un lavoro…»
«Che lavoro?»
«Penso» egli rispose seriamente, dopo aver taciuto un poco.

 (F. Dostoevskij, Delitto e castigo, trad. it. Serena Prina, ed. Mondadori, Milano 1994)

Quel bruscamente, quel seriamente! Lei, caro Fedor, ha abusato degli avverbi di modo e non ha rispettato lo scioudontell! Il lettore resterà deluso perché Lei non gli ha mostrato nulla, ha solo raccontato! Che disastro. Ma alla modica cifra di un rene e mezzo, un buon editor potrebbe sostituire quel “disse Raskòl’nikov a denti stretti e bruscamente” in questo modo:

«Io faccio…» sentenziò Raskòl’nikov a denti stretti, ringhiando come un mastino napoletano privato dell’ultimo boccone del suo attesissimo pasto, mentre la bava gli scivolava lungo il mento (a Raskòl’nikov, non al cane). 

E vogliamo parlare di quel “ rispose seriamente”? Renderemmo molto meglio l’idea descrivendo la scena in questo modo:

«Penso» egli rispose assumendo un’espressione alla Frajese  – per chi se lo ricorda – quel giornalista che costituì la dimostrazione che sposare una pornostar non rende felici, dopo aver taciuto un poco.

In sintesi, per scrivere un dialogo appetibile agli occhi dei vostri lettori di chi dovrebbe pubblicare la vostra opera, dovete seguire le seguenti regole:

  • infilare nel discorso diretto tutte le informazioni che non siete stati capaci di dare in precedenza (ad es.: “Caro, ti è piaciuta la colazione? Speravo che avresti apprezzato il latte e caffè. Dopotutto è ciò che prendi ogni mattina prima di recarti all’Ufficio del Catasto in cui lavori dalle otto del mattino fino al tardo pomeriggio, tornando così stanco che non hai mai voglia di passare del tempo con me, cosa che ci ha creato non pochi problemi negli ultimi tempi”);
  • demonizzare tutti gli avverbi in -mente sostituendoli con espedienti ridicoli;
  • rendere i dialoghi estremamente allusivi, a meno che il vostro personaggio soffra di alzheimer;
  • se proprio volete essere perfezionisti, sostituite a cazzo di cane il ripetitivo “disse” con tutti i sinonimi che troverete nel dizionario (ad es.: “Capra! Capra! Capra” berciò Sgarbi).
Bene, come sempre vi invito a svolgere una piccola esercitazione, nella speranza che non la prendiate sottogamba:
Scrivete un breve dialogo tra Maria e Gesù bambino, in cui quest’ultimo interroga sua madre su come si viene messi al Mondo e sulle strane voci che vorrebbero il capo di Giuseppe addobbato da un paio di prominenze appuntite.

 

 

27 Commenti

  1. I dialoghi che preferisco sono quelli in cui i personaggi parlano di qualcosa di profondo – che, la difficile condizione dei Giovini – e sono tutti d'accordo.
    "Vedi, Anna, la condizione di noi Giovini è difficile."
    "Hai ragione, Andrea, perché ce n'è il precariato."
    "Esatto, e questo rende le nostre vite precarie."
    "La precarietà è brutta."
    "Puoi dirlo forte, Anna, è veramente brutta."
    "Hai ragione, Andrea."
    E avanti così per quindici pagine.

    • Li ho trovati pure in certi romanzi… sono tempi difficili per il dialogo. Specie da quando gli psicologi hanno deciso che in famiglia deve esserci dialogo, o da quando gli scassapalle che vogliono farsi finanziare (la bocciofila / la comune degli sfattoni / la parata dei reduci di Salò con l'artite) dalle casse del comune e non ci riescono ottengono un articolo sul giornale cittadino dove dicono che con l'amministrazione non c'è dialogo…

  2. "Madre, son al mondo da pochi anni e già penso di avere più palle di mio padre."
    Esordì l'infante.
    Maria lo osservò in silenzio.
    "Gesù, questa è la tua prima frase di senso compiuto e ho già voglia di infarcirti di ritalin. Vai a giocare fuori."
    "Madre, chi è quel tizio nudo sul tuo letto?"
    "Lo Spirito Santo." Gorgogliò Maria.

  3. ahahhahahaha!!! Il dialogo se fatto ad arte può essere il migliore mezzo per esprimere il proprio lavoro. Penso ad Alvaro, ma andando un pò più indietro ai dialoghi cinquecenteschi (che a volte erano davvero artificiosi). Poi è ovvio che ogni scrittore utilizza il metodo che preferisce e il lettore si regola di conseguenza. Io in genere preferisco i dialoghi "complicati" e ben descritti, quelli che devi armarti di pinze per tirarci fuori qualcosa…

    • Ma per tirar fuori qualcosa con le pinze da un testo meramente allusivo, non sarebbe meglio utilizzare la pagina degli indovinelli de "La Settimana Enigmistica"?
      Voglio dire… un dialogo dovrebbe essere perlomeno verosimile. Nella realtà la gente non fa il riassunto delle puntate precedenti ogni volta che apre bocca, talvolta sbaglia i congiuntivi e, soprattutto, in situazioni come quella dell'incendio descritto da Ken Follett che ho citato all'inizio del post si lascia andare a imprecazioni incontrollate piuttosto che a cerebralissime retoriche da quattro soldi.

    • d'accordo..la verosimiglianza è importante, verissimo..però se la parola letteraria deve trasformarsi in mera cronaca della realtà perde valore..diventa giornalismo. La letteratura mi affascina anche per la capacità dei personaggi di discostarsi dal comune..

  4. L'unica regola da rispettare nei dialoghi è quella di far esprimere i personaggi esattamente come si esprimerebbero nella realtà, ricorrendo alle inflessioni tipiche dialettali (o comunque locali) se serve e quando serve. Nulla più del dialetto è capace di rendere immediatamente vivo il personaggio. Ma ovviamente dipende anche dal contesto. Se si sta svolgendo una conversazione formale, anche la persona meno istruita e più semplice del mondo tenderà a ricorrere ad espressioni formali, se invece si tratta di una conversazione tra amici, adolescenti, ragazzi, si ricorrerà alle espressioni che usualmente usano tra loro. E mai, come giustamente dici, fare il riassunto di quello che è avvenuto prima. Comunque si può scrivere un intero racconto o romanzo anche facendo a meno dei dialoghi. O mettendoli solo quando strettamente necessario.

  5. Sempre dalla parte di Raskol'nikov! Nel dialogo mi cimenterò poi, perché sono assai carente. Riconosco purtroppo quando non funziona, come in uno degli ultimi romanzi che ho letto, qualcosa tipo TVUKDB (sul serio… Fanucci???) ma con più spade, estratte/rinfoderate ogni due battute, e meno parenti.

  6. La continua ripetizione dei nomi propri è assurda nei dialoghi, credo di non aver mai pronunciato il nome di una persona mentre ci parlavo direttamente… non è assolutamente naturale.
    Io tendo a scriverli recitandmeli nella testa, per trovare la soluzione più naturale e credibile possibile.

    PS: il primo di Ken Follett mi sembrava di un pivello alle prime armi…

    • Io sì, questo dipende un po' anche dalla maniera di parlare che hanno le persone.
      Io dico spesso, quando mi rivolgo a qualcuno: "senti Marco, volevo chiederti, ti andrebbe di…". Oppure: "Marco, ma che cazzo stai a di'?".
      E anche quando scrivo mi piace ripetere il nome di qualcuno, ma dipende dal contesto, ovviamente.

    • @Daniele: infatti la mia prima intenzione era quella di inventare dei dialoghi, poi ho pensato a quell'obbrobrio di Follett 😀

      @Biancaneve: bisogna trovare il giusto compromesso tra il realismo estremo e la retorica da strapazzo. Scrivere dialoghi verosimili, credibili… e non di merda (possibilmente)

  7. avete mai provato a trascrivere un dialogo registrato?
    la trascrizione sarebbe realissima ma il risultato pessimo sotto il profilo letterario.
    un buon dialogo è un falso che sembra vero.
    sul come realizzarlo la ricetta è andata perduta.
    meglio l'indiretto libero, molto più narrativo.
    vuoi bere qualcosa? bevi qualcosa.. (ma quanto era illuminata Anna Marchesini!)
    GD

  8. Gesù: "Mamma, come nascono i bambini?"
    Maria: "Gesù, suvvia, è meglio che tu vada a giocare con l'asinello".
    Gesù: "L'asinello ha l'alito pesante. Non mi va".
    Maria: "Allora vai a giocare con il bue".
    Gasù: "Il bue mi inquieta, mi guarda in modo voluttuoso".
    Maria: "Orbene, vai a giocare con la pecorella".
    Gesù: "Se la sta inchiappettando il bue, non mi azzardo a interromperli".
    Maria: "Porca miseria, Gesù, sei peggio di una scheggia nell'occhio. Vai a giocare con il pastore!"
    Gesù: "Il pastore si sta inchiappettando il bue".
    Pausa di qualche secondo.
    Gesù: "Piuttosto, mamma, perché non mi racconti come nascono i bambini? E dai, e dai, e daiiii!"
    Maria: "A Gesù, ci hai rotto 'ste du palle. Perché non vai a chiederlo a tuo padre?"
    Gesù: "Lo farei se riuscisse a entrare in casa. E' da ieri che ci tenta, dice che le porte di questa capanna sono troppo basse…"

  9. — Mamma! I miei amici mi prendono in giro perché dicono che la mia nascita non è stata frutto dell'amore—

    — Figlio mio… non ascoltare le male lingue che non sanno che il vero amore è più grande di qualsiasi sesso… ahem… volevo dire che quando l'amore diviene sacrificio di sé per il bene di tutti… cioè…
    — Senti Gesù, dì ai tuoi amici di farsi i cazzi loro!—

    • C'è un errore: di', contrazione di dici, 2a persona singolare dell’imperativo del verbo dire, si scrive con l'apostrofo. Mi scuso per aver tentato di allontanare dalla santità ogni novello scrittore… 😀

  10. — Il dialogo scritto è un'arte, figliolo, e se è scritto male la gente che lo leggerà capirà male il senso, e poi troverà il modo di applicarlo anche peggio
    — Dammi retta… evita di scrivere sul papiro e limitati alle parabole orali, ché non si sa mai cosa salterà fuori dopo
    — In questo modo sarai sempre in tempo a dire che avevano capito male il messaggio—

    — Ma mamma, io devo dare inizio a una nuova religione, cosa c'entrano le parabole?
    — Lo sai che la parabola percorre la traiettoria più lunga, debole e imprecisa, ed è consigliato il suo uso solo per centrare la boccetta dei pesciolini rossi alle giostre?—

    — Ragazzo mio… non sottovalutare il ruolo che hanno i pesci in una regione di pescatori…—

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