Lassù qualcuno ci legge

1129
Quel simpaticone di Nostradamus.


Cari Visitors,
circa un anno fa ebbi la fortuna di realizzare un’intervista a John Cialtron, personaggio venuto dal futuro, in cui si parlava del futuro dell’editoria. L’intervistato  rivelò che la crisi sarebbe stata superata grazie al pay-to-read, una strategia di marketing caratterizzata dalla presenza di pubblicità nella narrazione.


Questa mattina ho letto sul sito del Giornale (non fatevi strane idee: ci sono arrivato tramite un aggregatore di notizie) un articolo intitolato “Lo sponsor paga, l’autore scrive e il romanzo diventa di marca” in cui si parla di William Boyd, autore britannico al quale la Land Rover ha commissionato un racconto a tema libero, purché compaia da qualche parte un fuoristrada della celebre casa automobilistica inglese.


Sebbene io sia da sempre convinto che la pubblicità occulta nel romanzo sia da sempre esistita (nutro qualche sospetto su Stephen King), dal mecenate che firma un bell’assegno a favore dell’autore di turno al pay-to-read di Cialtron il passo è davvero breve, non trovate?


34 Commenti

  1. Ci avevi visto giusto, Ale!
    Che dire? Io non sono contrario. Nel cinema degli anni '70 italiano si faceva product placement a gogo. A me non ha mai dato fastidio vedere il commissario Tanzi che si faceva un bicchierino di J&B, o Monnezza che faceva battute sull'acqua Pejo. Nemmeno l'altoparlante dell'ippodromo che invitava a comperare una data marca. Rende tutto più realistico. Anzi, sempre parlando di cinema (ma anche di fumetto!) odio quando le marche sono taroccate. Ricordo pecette giganti a coprire cartelloni Algida durante rapine nei bar, taroccamenti tipo Tony al posto di Sony… che brutto!

    Veniamo ai romanzi: nemmeno qui ci vedrei qualcosa di sbagliato. Forse io stesso, scrivendo, ho citato delle marche. Fa parte della quotidianità. Unica cosa, sarebbe brutto dover per forza inserire una scena solo per citare un marchio.
    Non sarebbe tanto lontana, come forzatura, da una scena ambientata nell'Antica Roma dove il romanziere deve inserire delle scarpe Nike al posto dei calzari classici XD

    Moz-

    • non so, Miki. Onestamente la pubblicità ficcata a forza nella prosa mi lascia un po' perplesso. Chiaro, il libro è un prodotto, ma il fatto che un'opera d'arte (perché sempre di arte si parla) diventi una marchetta vera e propria non è il massimo.

    • Ficcata a forza no.
      Ma, ad esempio, io quando ho scritto certe mie cose ho citato tranquillamente "mentadent" "crostatine mulino bianco" "gesù cristo e madonna" ecc… Se lo sponsor paga e copre parte dei costi… perché no? Dopotutto anche in tv ormai è pratica comune inserire i prodotti commerciali: abbattono delle spese. Il giornale su cui scrivo vive di pubblicità, è lo stesso.
      Anzi, sarebbe figo fare pubblicità più creative. Ma questa cosa è finita con Carosello.

      Moz-

    • Ahaha, perché questo slang da schiavo da piantagione?
      Non ho capito cosa intendi… parli di introiti? In realtà il product placement magari può aiutare ad abbattere alcuni costi, e quindi aiutare un romanzo ad essere pubblicato.
      Per inciso, io che scrivo molto "pop" cito già di mio delle marche, se queste pagassero le citazioni… sticazzi, meglio! O no?
      E se qualcuno mi dicesse: Miki, metti la marca all'Autogrill che citi, cosa ci vuole a dire "la famiglia Sticazzi si fermò ad un Alemagna per pranzare" 😉

      Moz-

  2. Non ricordo come si chiamino, ma le pubblicità all'interno di film e serie televisive c'è da tempo, e lo stesso credo si possa dire di alcuni libri. Perché si possa parlare di finanziamento, suppongo che l'autore debba essere di richiamo e garantire visibilità: penso a Dan Brown. Altri autori lo fanno probabilmente per beneficenza, più o meno consapevolmente, citando prodotti a casaccio. A me da fastidio solo quando lo spot non è così occulto ma si prende ampio spazio, oppure quando è palesemente fuori luogo.
    Da qui a scrivere qualcosa su commissione, ce ne passa. Tuttavia, qualche anno fa ho incontrato uno scrittore di libri erotici (credo) che mi raccontava, caso abbastanza raro, di vivere del proprio lavoro. Come faceva? Non con le vendite, naturalmente, ma tramite iniziative promozionali con non-so-quale catena di abbigliamento o strategie analoghe (compresa una raccolta punti, credo). Di strategie di finanziamento ce ne sono molte, quindi, alcune occulte, altre palesi. Non so se da qualche punto in avanti si possa parlare di "prostituzione". C'è chi ha usato il termine anche negli anni '20 per certa letteratura pulp che rincorreva gusti popolari, sacrificando magari un po' di "arte", ma fra questi, rubando le parole al buon Orwell, sono sopravvissuti dei buoni brutti libri. Personalmente, se considero che a me dà fastidio quando l'autore di thriller X cita marche e modelli di tutta l'attrezzatura del protagonista, non prenderei bene quel pay-to-read del tuo Cialtron, così come mi dà fastidio nei film di Hollywood. Se però può dare indipendenza economica a chi scrive (bene), capisco anche il punto di vista dello scrittore. L'obbrobrio è quando questo meccanismo finanzia invece vere e proprie porcherie.

  3. Nel cinema questo è banale. In Hollywood, Vermont di David Mamet una troupe cinematografica che deve girare un western ha una persona che si occupa delle sponsorizzazioni, e che trova solo una società di pc disposta a finanziare il film. Lo sceneggiatore riuscirà a inserire la marca al momento giusto. Ma è questa la qualità di chi scrive, se vuole guadagnare ovviamente. In un libro questo è addirittura facile, soldi facili, magari fosse così davvero per tutti! Mi piacerebbe chiamare la Coca-Cola e dire: "Ti avverto, se non scuci, non ti metto nel libro, o dico che non sei una bevanda salutare". Per quello che conto io mi sa che non funziona.
    Riguardo alla prostituzione intellettuale ricordo che i maggiori scrittori del passato vivevano nelle migliori corti europee e dedicavano le loro opere al tiranno analfabeta di turno disposto a pagar loro vitto e alloggio…

    • Credo che nel cinema la cosa sia meno invasiva, in quanto le scene sono composte di dialogo, suoni, immagini. Nella prosa si ha solo la parola scritta, e ciò vuol dire che la pubblicità in quel momento occuperà il 100% dell'attenzione del lettore. Troppo.

      Il paragone col mecenatismo, detto sinceramente, è scontato ma non regge: il contesto era ben diverso, vogliamo paragonare quell'epoca a quella di Internet?

    • Scusate, rileggendo alcuni miei vecchi scritti, noto che appunto cito delle marche. E' sbagliato farlo? Catalizzano l'attenzione del lettore?
      No, dai… potrebbe succedere solo se si scrive di merda (e magari io scrivo di merda, ma tanti altri no!^^)

      Moz-

  4. Detto sinceramente, paragonare l'epoca del mecenatismo che va dagli Antichi fin quasi ai giorni nostri, con l'epoca di internet di massa, vent'anni appena, meno della tua età probabilmente, è scontato ma non regge. Dell'epoca di internet potranno parlarne i figli dei figli dei nostri figli, non noi due. Quando non ci saranno più editori ad accollarsi il rischio del libro, grazie a internet, chi vorrà raggiungere una soglia minima di visibilità, diciamo 100.000 copie?, o ci metterà i soldi di tasca propria o dovrà bussare dai nuovi editori, gli sponsor. Che c'è di male? Secondo me un artista lo fa tranquillamente. Molte delle illustrazioni pubblicitarie più famose al mondo sono opera di grandi pittori, e sono pubblicitarie al 100%. Qualcuno si stracciò sicuramente le vesti a vedere la pittura al servizio della marca, ora non ci si fa più caso, anzi fa parte della cultura, e noi le ammiriamo per ciò che sono: arte. Quando si parla di libri, invece, diventa un tabù. Sinceramente, ma se fra i tuoi truzzi se ne aggiungesse uno con la marca, tanto quello non lo capirebbe che lo prendi per il culo, e ti pagasse pure profumatamente, ma tu non ce lo metteresti subito dentro? Perché se non ce lo metti, chiamami prima, che ti convinco io a dannarti. Uno scrittore ricco è uno scrittore, uno scrittore povero è un povero, vabbè questa non è proprio originale…

    • un attimo però… andiamo per gradi.
      Nel passato su questa Terra c'erano quattro gatti, perlopiù analfabeti. Per l'artista non c'era alternativa: mettersi al servizio del potente o crepare di fame.

      Oggi siamo quasi dieci miliardi, la popolazione è molto più istruita (nel senso che l'analfabetismo è stato quasi debellato) esistono gli editori, esiste il self-publishing. Come possiamo mettere sullo stesso piatto della bilancia due periodi storici così dissimili?

      Per quanto riguarda il secondo argomento, il fatto che col denaro si compri tutto – compresi gli autori – è fuori discussione, ma ciò non vuol dire che sia corretto. Una marchetta è sempre una marchetta, che la si voglia giustificare o meno.

    • Ma sì hai ragione, dai. Però quando c'era il mecenatismo è perché non esistevano gli editori. La letteratura come massa, cioè il fatto che in tutti i paesi del mondo si può leggere contemporaneamente Il vecchio e il mare, è nata grazie alla creazione dell'editore, la professione che dai libri vuole trarre profitto, e rischia il capitale al posto dello scrittore. Oggi internet, che si affaccia solo ora nel mondo e non sappiamo cosa sarà tra vent'anni, sta erodendo velocemente proprio l'editore. Immagina per un attimo che Amanzon vince e gli editori spariscono. Tutto in self-publishing, come stai facendo tu. Vorrebbe dire che se domani uno scrittore, perché la voglia di raccontare storie non sparirà mai, vorrà raggiungere più persone che non stiano attorno al suo focherello, per avere una platea, un pubblico maggiore, dovrà bussare alle porte di chi ha soldi (e interessi) per lanciarlo sopra la massa degli scrittori dalle cento copie su Amazon. Immagina la frammentazione della letteratura. Io e te abbiano sicuramente letture in comune nel nostro passato. Da domani potrebbe non capitare più. Tu annaspi in una pagina internet alla ricerca di qualcosa di valido, io in un'altra. Le copie dello scrittore bravo passano da 100 a 101. I truzzi comprano invece l'ultimo di Morgan perché quello è famoso per altri grandi meriti. In letteratura si tornerà al mecenatismo, ma in chiave moderna, dove lo sponsor non si accontenta del ringraziamento in testa al libro
      Devo essere sincero però. L'articolo che citi non l'ho letto ancora, ovviamente intendo che l'autore inserisca qualche scena alla James Bond con la fuga in Panda, spero che non sia un libro che celebri la Panda di James Bond. Ora che ci penso: non sarebbe male, James Bond, in pensione, che al sabato lava la Panda al centro commerciale, in mezzo ai truzzi, eh?

  5. Sulle prime mi sono detto: bene, ecco una marca di auto che non comprerò nemmeno se mi sparano. Poi però ho aggiunto: ma guarda che tenerezza, gente di stampo biecamente imprenditoriale che ancora crede nella forza della parola, nella possibilità di ottenere qualcosa dalla scrittura e dalla lettura! Incredibile! (Anche se, naturalmente, io non accetterei mai di far decidere ad altri quale macchina debba guidare – o anche solo nominare! – il mio Corradino da grande, o qualsivoglia altro mio personaggio presente o futuro: sulla prostituzione intellettuale la penso come José Mourinho, e come l'amica Chiara… :D)

    • Zio Scriba sono perfettamente d'accordo con il tuo pensiero… però ecco credo che anche tu debba convenire sul fatto che qui la gente barla già, e di chi è il figlio non si sa.

      Insomma quello che sto cercando di dire è che di sicuro qualche donna ti assomiglia e ti dirò… sono vieppiù certo del fatto che, presto o tardi, chi ti biglia droverai.

      Ecco, tutto qui. Poi se credi ci sia da aggiungere qualcosa o se non ravvisi identità di vedute con quel che ho scritto, dimmi pure.

    • Come scelta imprenditoriale, a mio avviso, lascia il tempo che trova (seppure sia quantomeno originale, eh). Vorrei davvero vedere quanta gente potrebbe acquistare un fuoristrada per averne letto la descrizione in un libro.

  6. Non ho capito perché su questo blog, apparentemente amico (addirittura il mio romanzo consigliato nella sidebar!) io (e sempre solo io) debba periodicamente esser fatto oggetto di attenzioni più o meno antipatiche, sibilline, trollistiche, moleste, sgradevolucce e anonime, senza che mai il titolare del blog spenda una paroluccia per difendermi… Mi pare abbastanza patetico, sconcertante e assai poco corretto.
    Se sul mio blog ti frantumassero i coglioni in questo modo io mi comporterei diversamente, caro Alessandro.

    • Zio, io non penso che un po' di sano "nonsense" possa offendere qualcuno, detto sinceramente. Sul fatto che quella tanica di letame di "Bella Figlia" alias "Defezionario" dovrebbe in qualche modo rinunciare all'anonimato son d'accordo, ma credimi… conoscendo il personaggio – notevolissima persona – dubito fortemente che voglia offenderti.

    • Offendermi è difficile: diciamo che mi infastidisce come potrebbe infastidirmi un tafano… e non è per andare incontro a fastidi che uno si reca (con piacere) sui bei blog degli amici… 🙂

    • Come gestore del blog so bene di essere responsabile anche di ciò che viene scritto nel modulo "commenti" dai visitatori. E credimi, se ci fossero offese dirette a un'altra persona, non esiterei a calar la truce ascia della censura su parole scritte da uno sconosciuto o dal più intimo dei miei amici.

      In questo caso si tratta di una persona che conosco a fondo, e con cui ho condiviso gioie e dolori delle censure e degli atteggiamenti democristiano/reazionari di capi e capetti delle comunità virtuali che abbiamo frequentato per brevi o lunghi periodi.

      Dato che vorrei preservare lo spirito "cazzone" e becero di questo mio angolino virtuale, vorrei che tutti si sentissero a casa propria da queste parti, ma consci della natura (e se vogliamo della "netiquette") di questo blog: si scherza, ci si sfoga genuinamente e ci si prende per il culo in modo sano e senza tendenziosità o rancori celati.

      E' il mio modo di intendere il web, magari sbaglierò (a conti fatti mi sto facendo il vuoto intorno) ma arrendersi all'altrui permalosità (o ai fraintendimenti, per carità) vorrebbe dire tradire l'idea che è alla base della mia stessa permanenza su questi lidi. Credimi, già è da tempo che balena nella mia testa l'idea di fare un rogo di tutto, blog compreso, proprio per il fatto che la distorsione dei messaggi e le incomprensioni causate dal web più che instaurare una comunicazione distruggono ogni barlume di possibile intesa e libero scambio di vedute.

    • Per carità, io i permalosi e quelli che si "offendono" li odio: se questa "notevolissima persona" volesse darmi della testa di cazzo o del figlio di puttana si accomodi pure: non lo prenderò certo alla lettera e non vorrò lavare l'onta contro la mia defunta e adorata Mamma scagliandomi contro di lui con la lama del coltello, o peggio ancora con stupide minacce di denuncia…
      Però credo che lo scherzo, il cazzeggio, la presa per i culo, richiedano un certo gusto e una certa classe, e soprattutto che si debba essere in due (magari conoscendosi già da prima ed essendo veramente amici). Questa persona da mesi se non da anni se la prende sempre solo ed esclusivamente con me, e questo atteggiamento, più che al cazzeggio o allo scherzo, assomiglia molto fastidiosamente al bullismo e allo stalking.
      Comunque, buona giornata a tutti, e chiudiamola pure qui. 🙂

    • Zio Scriba, non sarebbe successo niente senza quell'orribile canotta gialla. Io volevo soltanto qualcosa da postare.

      Quindi a mio modo di vedere sei tu ad aver versato "sangue" per primo, hai indossato per primo.

  7. A me sinceramente non piace. Ricordo una breve raccolta di racconti di Camilleri. Ce n'era uno commissionato, se non ricordo male, dalla Telecom, per non so quale campagna pubblicitaria. Camilleri doveva solo scrivere un racconto in cui si menzionasse il telefono. In questo modo non vedo problemi.

    La questione delle marche è un po' difficile da risolvere. Parlando del cinema, se vedi in primo piano un portatile della Apple pensi alla marchetta, idem quando vedi che il personaggio cerca qualcosa su Google. Però non diventa marchetta se il protagonista guida la sua Fiat 500, per esempio. O spara con una Smith&Wesson. O a tavola sceglie un certo tipo di vino.

  8. Di recente devo essermi imbattuta in qualche citazione di marche di bevande alcoliche o sigarette, ma non mi ha urtato molto.
    Ci sono poi quei libri leggeri che parlano di ricordi comuni, e penso a un capitolo di "Sono contrario alle emozioni" di Diego De Silva. Anche lì, nonostante citi nomi di prodotti che si trovavano nel passato, nessun fastidio.
    Se non si percepisce una forzatura può andare… Alcune marche sono ormai simboli arcinoti e non hanno bisogno di pubblicità. In tal caso è quasi un'antonomasia.

Rispondi a Chiara Solerio Cancella la risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here